La Gioconda in Val Veddasca

Cominciò tutto il 22 agosto del 1911 quando al Louvre s’ accorsero che il quadro di Leonardo non era al suo posto. In un sottoscala trovarono la teca di vetro che la proteggeva e la cornice. Del furto furono sospettati Guillame Apollinaire e Pablo Picasso, frequentatori del museo, ma entrambi furono in seguito rilasciati. Del vero colpevole nulla si sapeva.

Era invece un addetto alla manutenzione del Louvre, che aveva mesi prima applicato al quadro la teca di vetro. Si chiamava Vincenzo Peruggia ed era nato a Dumenza in provincia di Varese (allora in provincia di Como) l’8 ottobre 1881, figlio di Giacomo e di Celeste Rossi.

Vincenzo andò a lavorare a Milano per apprendere il mestiere di imbianchino e decoratore e ben presto si recò in Francia dove esercitò l’arte del pittore di stanze. Già dai primi mesi del 1910 il giovane venne mandato a lavorare nel museo del Louvre come addetto alla manutenzione.

Peruggia, convinto che il dipinto appartenesse all’Italia e non dovesse quindi restare in Francia, lo rubò uscendo dal museo a piedi con il quadro sotto il cappotto. L’opera più famosa di Leonardo fu quindi nascosta sotto un tavolo nell’osteria Garibaldi dei fratelli Lancellotti, amici del Peruggia, a Cadero, un piccolo paese della Val Veddasca, dove rimase per due anni.

Il quadro fu recuperato il 12 dicembre del 1913 a Firenze dove il Peruggia aveva fissato un incontro con l’antiquario Alfredo Geri che avrebbe dovuto acquistarlo per la somma di 500 mila lire. Il decoratore della val Dumentina venne arrestato perché l’antiquario rivelò per tempo al direttore degli Uffizi del suo speciale contatto con Vincenzo Leonard (così il Peruggia siglava le missive indirizzate a Geri) e di quella incredibile offerta. Tuttavia, il quadro che il Peruggia portò a Firenze e che da lì fece ritorno al Louvre, sarebbe stato un falso e le autorità francesi avrebbero finto di non accorgersene per non rimediare l’ennesima figuraccia.
Vincenzo Peruggia fu arrestato il 13 dicembre 1913;  il processo durò solo dal 4 al 5 giugno del 1914 e l’imbianchino venne condannato ad un anno e quindici mesi di carcere, pena ridotta in seguito a sette mesi ed otto giorni, sotto la pressione dell’opinione pubblica che vedeva in quel gesto una sorta di riscatto patriottico in quanto la gente era convinta che che il quadro fosse stato rubato da Napoleone  (mentre invece sembra che fu lo stesso Leonardo a venderlo al re di Francia).

Scontata la pena il Peruggia partì per il fronte. Quindi al rientro a Dumenza sposò Annunciata Rossi e sembra che sia andato in viaggio di nozze al Louvre dove, davanti alla Gioconda, avrebbe pronunciato la frase: “Marciranno le tegole del tetto ma il mio nome rimarrà scolpito nei secoli”.

Il ladro della Gioconda morì in Francia l’8 ottobre del 1925, giorno del suo compleanno, stroncato da un infarto a soli 44 anni, mentre rientrava a casa con in mano una bottiglia di champagne ed un pacchetto di dolci.
Secondo una versione non ufficiale Peruggia fu però solo un prestanome ed il vero autore del furto fu invece Vincenzo Lancellotti con la complicità di suo fratello Michele.

I Lancellotti erano emigrati a Parigi come decoratori e lavoravano al Louvre con Peruggia; qui idearono il furto, che avvenne in una delle giornate di chiusura del museo.

I due fratelli avevano ricevuto una ricompensa di 100 mila franchi francesi da un trafficante d’arte, un nobile argentino che risiedeva a Parigi, Edoardo Valfierno, il quale aveva bisogno che il dipinto venisse rubato per piazzare sul mercato d’oltreoceano alcuni falsi, così da spacciarli per veri ad ognuno dei facoltosi americani che aveva contattato. Valfierno si arricchiva infatti vendendo quadri antichi e riproduzioni di quadri celebri, spacciandole per vere, e quando ingaggiò i Lancellotti sembra avesse  già pronte sei copie false in procinto di partire per l’America, dirette a dei collezionisti americani”.
A Parigi Vincenzo nascose il quadro, dipinto su una tavola di legno, in casa di François Seguinot, sua amante. Pare che da Parigi il quadro viaggiasse anche fino a Londra, nel vano tentativo di venderlo ad un antiquario.

Delusi quindi i Lancellotti tornarono a Parigi e decisero di riportare Monna Lisa in patria. Per portare il dipinto in Italia si servirono di una valigia a soffietto con doppio fondo. Raggiunsero la sperduta Càdero, non lontana da Dumenza, e nascosero la Gioconda sotto un tavolino della trattoria dei genitori, sulla stradina che conduce a Graglio.

Tutti i paesani sapevano del furto e mantennero il segreto, venendo come in processione ad ammirare l’autentica Monna Lisa.

Quando i genitori si accorsero di ciò che avevano fatto i figli, per salvaguardare il buon nome della famiglia ed il lavoro del padre, che era un maresciallo della Guardia di Finanza, imposero loro di cercare un complice su cui addossare tutta la responsabilità del furto. Essi confidarono quindi il segreto all’amico Peruggia, la persona ideale a recitare la parte del ladro visto che aveva vissuto negli stessi anni a Parigi ed era anche lui assunto al Louvre, offrendogli la somma di 10.000 franchi francesi se si fosse dichiarato l’unico autore del reato. Questi accettò subito l’offerta.

Da Cadero nelle mani del Peruggia, che aveva avuto il compito di cercare di vendere la copia e depistare così le indagini che rischiavano di dirigersi verso i due fratelli, partì però per Firenze un falso. Da qui si rientra nella storia ufficiale.

Il vero dipinto, quello autentico staccato alla parete del Louvre nell’agosto del 1911, non sarebbe più ritornato a Parigi, dove oggi sarebbe esposta una copia. La vera opera sarebbe invece ancora nascosta tra la Val Veddasca e la Val Dumentina, nell’intercapedine di un muro di una vecchia chiesa o di una casa di montagna. Insomma, il mistero continua…